Questo periodo è stato per tutti una valanga che ci ha colto nel mezzo della nostra vita, fatta di lavoro, scuola, spese, traffico, insomma tutto ciò che fa parte della nostra quotidianità.
Nelle strutture socio sanitarie si sono dovute immediatamente ridefinire tempi, modalità, sistemi, per poter far fronte ad uno tsunami di informazioni, spesso contraddittorie, ma anche ansie dei propri residenti, dei professionisti, dei familiari, ma soprattutto preservare la salute di tutti.
L’emergenza ha imposto un cambiamento.
Ovvero si è reso evidente, di fronte ad un’emergenza sanitaria, ciò che forse non era visto come necessario per alcune organizzazioni.
Sono venute a cadere tutte quelle giustificazioni che hanno mantenuto sistemi sociosanitari basati sul “si è sempre fatto così” sul “non è possibile cambiare” o “sarebbe stupendo fare altro ma non abbiamo sufficienti risorse”.
L’emergenza ha così imposto di aprire gli occhi dove non si poteva o voleva aprirli.
Sappiamo che per riuscire a gestire ma soprattutto affrontare una criticità, un problema è necessario riconoscerlo, diversamente non si troveranno mai strategie adeguate.
La nostra vita è stata completamente sconvolta dall’impossibilità di poterci muovere liberamente, ma anche abbracciare, relazionarci con le persone a noi più care ma questo aspetto non può e non deve diventare il pretesto per creare ambienti privi di quelle che sono le risposte ai veri bisogni delle persone.
La spontaneità è stata compressa dalla necessità di tutelarci e tutelare chi ci sta accanto ed il luogo in cui tutti ci siamo rifugiati è stata la casa, imposta o meno, ma è stato quel luogo in cui potevamo ritrovarci e ritrovare ciò che ci rassicurava.
La casa fatta non solo di ambienti ma soprattutto di persone di riferimento.
Così in questo momento storico non ho potuto fare a meno di pensare, come il modello Montessori per demenze potesse essere di aiuto in questo periodo visto che proprio, la spontaneità e la libertà, sono gli elementi fondamentali di questo approccio, ma allo stesso tempo sono stati i due fattori proibiti, da parte della società.
La conclusione a cui sono arrivata, proprio per ciò che da anni cerco di far conoscere, è che un’impostazione fatta di grandi numeri e di spersonalizzazioni ha esacerbato una crisi già di per sé invalidante, diversamente una logica veramente impostata sulla persona, sulla sua storia, su attività mirate, avrebbe sicuramente mitigato una crisi già di per se stessa devastante.
Gli ambienti devono essere a misura di bambino, diceva Montessori e per tanto mi sono confrontata con ciò che nel modello stesso propongo e mi sono resa conto che, non solo non andava cambiato nulla, ma in questa situazione diveniva ancora più importante cogliere l’assunto stesso dell’approccio del Modello Montessori per le demenze, andando alla originalità del soggetto, costruendo intorno alla persona con demenza strumenti e mondi cuciti addosso a quella specifica biografia, diversamente in questo periodo di gravi deprivazioni relazionali, si rischia di rendere ancora più infausto il quotidiano.
La risposta naturale è stata per tanto quella di lavorare per preservare ancora di più la specificità della persona.
Il Modello Montessori per le demenze propone il concetto di unicità e per tanto la centralità della persona, costituita anche dalla sua famiglia, sono elementi fondamentali che non possono essere disattesi.
Questa pandemia va ovviamente gestita ma senza perdere di vista la centralità dell’essere umano fatta di luoghi, stimolazione e storia.
La criticità non può annientare ma far emergere le vere competenze per trovare strategie alternative per rendere comunque vivibile la nostra limitazione.
Le persone non possono assolutamente essere sottratte a quelle stimolazioni necessarie per preservare una stabilità emozionale fondamentale, diversamente si corre il rischio di non garantire il diritto della rilevazione del vero bisogno delle persone e della loro soddisfazione.
Dott.ssa Anita Avoncelli